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La sesta migrazione

Il 16 giugno 1647 un numero significativo di cittadini della penisola di Maina nella Morea sbarcò a Otranto. La maggior parte dei profughi si stabilì in Basilicata nella provincia di Potenza a Barile, dove nel 1477, dopo la conquista di Kruja, già si erano sistemati degli albanesi; ancora nel 1534 giunsero a Barile altri Coronei e nel 1597 arrivarono ancora circa 30 famiglie originarie  di Corone che in precedenza erano stare insediate nella vicina Melfi.

Non si ricorda la data, ma probabilmente ai primi del sec XVII, Ranuccio I Farnese, Duca di Parma e Piacenza, accolse i profughi provenienti dall'Albania nella provincia di Piacenza, e precisamente nel villaggio di Boscone Cusani, a 4 Km. dall'odierno Calendasco di cui è frazione. Nello stesso periodo di tempo altri albanesi si stanziarono nel paese di Pieve Porto Morone, in provincia di Pavia, e nei villaggi di Pievetta e Bosco Tosca, entrambi frazioni di Castel San Giovanni.

Verso il 1680 vennero da Maina della Morea altri profughi che si stanziarono a Chieuti. Questi erano guidati da due fratelli, Giorgio e Macario Sevastò, il primo monaco e l'altro laico. I capitoli di fondazione di Chieuti riportano la data del 1680 e furono stesi con Mons. Ferdinando Apicella.

La settima migrazione

La settima migrazione ebbe luogo sotto Carlo III di Borbone, quando, nel 1744, accolse nel Regno di Napoli alcune famiglie greco-albanesi (in tutto 73 persone) provenienti dal villaggio costiero di Piqeras. Questa emigrazione era stata preceduta da un'incursione a Piqeras della popolazione di Borsh e Golëm nel Kurvelesh convertitasi all'Islam nel dicembre del 1742 cosi che diversi abitanti di Piqeras (denominati Piqerasiotët) decisero di abbandonare la loro patria, sotto la guida del Papas Macario Nikàs e del Diacono Demetrio Atanasio. Sulla strada verso sud, attraversando Lukova, Shën Vasil, Klikursi, Nivica-Bubar (situato a nord di Saranda), Corfù e Othoni, probabilmente si unirono a loro altre famiglie.

Giunsero a Othoni in 18 famiglie e si imbarcarono su una nave del Regno di Napoli, per arrivare nel porto di Brindisi nel giugno 1743, da dove, a spese della Corona, Carlo VII li fece trasportare nella regione d'Abruzzo nell'ottobre del 1743. A Pianella aspettarono di essere sistemati da qualche parte. Dopo controversie con la popolazione locale che non volevano accettare gli immigrati, re Carlo decretò e firmò il 4 marzo del 1744 l'atto della concessione terreni a Piano di Coccia e a Badessa, l'odierna Villa Badessa, Frazione di Rosciano in provincia di Pescara. Si può desumere la data esatta dell'arrivo degli immigrati a Badessa leggendo un vecchio registro battesimale, che afferma che il primo battesimo fu eseguito il 18 novembre del 1743.

L'ottava migrazione

Per sfuggire alla persecuzione religiosa nella loro patria, alcune famiglie cattoliche di Scutari raggiunsero Ancona nell'aprile del 1756 per cercare rifugio nello stato pontificio. Qui furono accolte dal Papa Benedetto XIV che offrì loro del denaro del tesoro apostolico e ordinò al Tesoriere Generale della Camera Apostolica di collocarli provvisoriamente a Canino e dotare i capifamiglia del terreno esistente nella zona di Pianiano a Cellere nella provincia di Viterbo nel Lazio.


donne Arbëreshe con il costume tradizionale di San Cosmo Albanese

Nel 1774 giunse dall'Albania un'altro gruppo di profughi ai quali, sotto la condizione di coltivare e sistemare le vaste terre deserte vicino al porto di Brindisi, il Re promise loro una paga di tre Carlini al giorno. Al comando di questo gruppo venne messo Panagioti Caclamani, il quale parlava bene la lingua greca.

Tuttavia, la colonia non soddisfece le aspettative del governo in quanto i nuovi coloni non avevano mestiere e erano "nient'altro che vagabondi" attratti nel Regno di Napoli dal generoso salario di tre Carlini al giorno. Comunque la morte del loro capo Panagioti Caclamani fu la causa della dispersione di questa colonia. E' molto probabile che il luogo dove si insediarono gli albanesi fosse Pallavirgata in provincia di Brindisi.

Conclusione

Fin dall'antichità diversi popoli si sono stabiliti nell'Italia meridionale: antichi greci, bizantini, arabi, valdesi e albanesi. Di questi, solo gli albanesi sono sopravvissuti come gruppo etnico. Ciò è stato possibile perchè il modo di vivere degli albanesi non ha mai disturbato lo status quo e, a parte qualche piccolo problema, gli Arbëreshë hanno vissuto piuttosto pacificamente nel sud dell'Italia per quasi 500 anni.

sindaci delle comunità Arbëreshë, riuniti a Cosenza. Alle loro spalle il busto di Scanderbeg

Alcuni paesi Arbëreshë hanno perso le loro caratteristiche albanesi; altri, sebbene considerevolmente italianizzati, conservano ancora tratti ben riconoscibili. I paesi completamente assimilati si trovano prevalentemente in Puglia. L'assimilazione di questi paesi può essere spiegata dal fatto che sono situati nelle pianure accessibili e piuttosto vicine alle grandi città di Taranto e Lecce. I paesi che mantengono le caratteristiche albanesi sono situati in Calabria, in Basilicata e nella Sicilia nordoccidentale, in remote zone montuose che per molto tempo non erano raggiungibili dai moderni mezzi di trasporto.

In larga misura gli Arbëreshë dell'Italia meridionale seguono lo stile di vita italiano. C'è stata un po' di mescolanza e matrimoni misti. Le loro città, abitazioni, pratiche agricole, cibo, abbigliamento ed economia assomigliano a quelle degli italiani. All'interno dei loro paesi, tuttavia, gli Arbëreshë hanno continuato a parlare la lingua dei loro padri, mantenere il rito religioso bizantino, glorificare i loro eroi, tenere le loro feste, conservare alcuni costumi e perpetuare il folclore dei loro antenati.

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