Nel 1606 Ranuccio I Farnese, Duca di Parma e Piacenza, diede ospitalità a circa 300 profughi fuggiti dall'Albania a causa dell'oppressione degli ottomani, e li insediò a Boscone Cusani (frazione di Calendasco in provincia di Piacenza), che a quel tempo era un grossa isola del fiume Po.

Nel 1670 giunsero ancora diverse famiglie di profughi provenienti dall'Albania. Queste, dopo aver navigato il mare Adriatico sino alla foce del fiume Po, risalirono quest'ultimo, sino a raggiungere il territorio di Castel San Giovanni, ultimo comune della provincia di Piacenza, sul confine con la Lombardia.


la chiesa parrocchiale di Boscone Cusani in una vecchia cartolina

Qui furono accolti da Ranuccio II Farnese, nipote di Ranuccio I, che consentì loro di insediarsi sulla riva sinistra del Po e si fermarono in due zone distinte, distanti tra loro non più di 300 m.; nella località di Pievetta (frazione di Castel San Giovanni in provincia di Piacenza) si insediò un gruppo denominato gli “Albanesi” (tale è tutt'ora il loro cognome), mentre nella località di Bosco Tosca (anche essa frazione di Castel San Giovanni) si insediò un altro gruppo denominato “Tosca”, il cui cognome è ancora in voga a tutt'oggi.

Sembra che a Pievetta gli abitanti fossero chiamati genericamente “gli albanesi”; mentre gli abitanti di Bosco Tosca, che avevano mantenuto più riservatamente la dignità del proprio cognome “Tosca”, pare non volessero essere confusi con “gli albanesi”, perchè affermavano di provenire dai territori che erano stati di Scanderbeg, e che le vere tradizioni arbëreshe fossero tramandate solo dai Tosca.


tipico abbigliamento dei Gheghi

tipico abbigliamento dei Toschi

I due gruppi, che non ebbero rapporti tra loro fino ai primi anni del ‘900, si differenziavano per il loro specifico dialetto. Ma le differenze tra Toschi e Gheghi non erano soltanto dialettali, ma si manifestavano anche in alcuni elementi etnografici. Vi erano differenze appariscenti tra il modo di vestire dei Toschi e quello dei Gheghi, soprattutto nell'abbigliamento.

I Toschi indossavano una camicia ricamata di lino bianco, con maniche larghe e corte, fermata alla vita da una cintura larga e rossa. La parte inferiore del costume era formata da un gonnellino bianco pieghettato, chiamato "fustanella" portato sopra i pantaloni al ginocchio; indossavano inoltre una giacca aperta sul davanti le cui maniche restavano pendenti dietro le spalle.

I Gheghi, invece, indossavano dei pantaloni lunghi e stretti; in estate di colore bianco con orli neri, d'inverno di colore nero, o comunque, scuri con ornamenti chiari. Inoltre indossavano anche una giubba nera, ornata di galloni e di spalline.

Questi nuovi abitanti si distinsero subito per lo spirito indipendente, e non accettavano di lavorare alle dipendenze di nessuno, così che, mentre le donne si dedicavano al ricamo e alla maglieria, gli uomini prediligevano lavori di intarsio del legno, costruivano zoccoli di legno di pioppo, erano boscaioli, pescatori, carrettieri, trafficanti di legname, piccoli commercianti, mugnai e, soprattutto barcaioli.

Una delle attività più importanti degli arbëreshë fu quella di traghettatori del fiume Po. A quel tempo per attraversare il fiume, si andava con le piattaforme galleggianti dei "passatori" che, come un pendolo, si spostavano tra le due sponde del fiume.

La località dall'altra parte del fiume era Pieve Bosco Morone (in provincia di Pavia) e in questo paese si trasferirono alcune famiglie di Pievetta e Bosco Tosca, creando così l'unico insediamento arbëresh in Lombardia.

Una curiosità che distingueva gli arbëreshë era il culto dei morti: nella bara del morto veniva inserito un fazzoletto di lino, un gomitolo di lana ed una moneta, per pagare il traghettatore nel viaggio dell'aldilà. Questo aspetto è emerso dalle esumazioni effettuate in tempi successivi.

Per secoli queste comunità sono rimaste molto chiuse in se stesse ed isolate dalla popolazione vicina, ma il fatto di essere numericamente esigue ha portato ugualmente alla perdita di usi e tradizioni originali e della stessa lingua dei loro padri.

Attualmente a Pievetta e a Bosco Tosca non rimane più niente di queste antiche usanze e i due dialetti albanesi non sono più parlati; rimangono pero come segno della presenza degli albanesi in questi stanziamenti "padani" i cognomi degli abitanti: tutti di origine Tosca e Ghega.

Ma gli abitanti di Pievetta e Bosco Tosca hanno dato vita al "Comitato per il ritorno alle origini" che è impegnato nel recupero dei valori legati alla terra d'origine. Un esempio concreto è legato al recupero della tradizionale “Festa dei barcaioli” una festa che ricorre il 21 gennaio e che affonda le origini quando la gente di Pievetta e Bosco Tosca trovava nel lavoro di barcaiolo l'unico sostegno di vita. Durante la “Festa dei barcaioli” la statua di Santa Agnese è portata in processione lungo le rive del Po, sul quale si affacciano i due centri.

Una seconda manifestazione, sempre ripresa dalle antiche tradizioni, si tiene l'8 settembre nella frazione di Pievetta e si tratta della “Festa dell'Anatra”, tipica pietanza locale che viene cucinata arrosto. Un altro piatto ripreso dalle antiche tradizioni è la “Torta con l'afari” (Torta con la farina di farro), una pasta frolla a base di farro (cereale povero simile al frumento) o orzo (come alternativa) e cioccolata.

Un'altra cosa molto importante è la tradizione culinaria della zona, che si è mantenuta costante nei secoli. Il piatto simbolo degli arbëreshë della zona è un piatto unico composto da riso e farina mescolata a carne di maiale, e poi ancora un dolce tipico fatto con il farro (cereale all'epoca sconosciuto in zona, e che tutt'ora è sostituito dal riso) bollito nel latte e addolcito col miele.

In una sagra dell'8 settembre, vengono sacrificate circa 500 fra anatre e oche arrostite, in salsa di peperoni e cipolle, che fanno da richiamo per circa 10.000 buongustai di tutta la provincia di Piacenza e che gli arbëreshë delle due borgate sono ben lieti di ospitare.

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