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Villa Badessa (in lingua arbëreshe: Badhesa). è una frazione di circa 400 abitanti del comune di Rosciano in provincia di Pescara, e rappresenta il più recente (1743) insediamento di italo-albanesi, l'unico in Abruzzo. Il villaggio si sviluppa lungo una bassa cresta a metà strada tra il litorale adriatico e i due massicci della Majella e del Gran Sasso, ed è situato nella vallata del fiume Nora.

Considerato come un'autentica "oasi orientale" d'Abruzzo, nel villaggio si preatica la religione cattolica di rito bizantino e tutte le tradizioni religiose a esso collegate, il patrimonio artistico relativo alla tradizione religiosa orientale con alcune vestigia architettoniche e urbanistiche, e infine, qualche labile sopravvivenza linguistica albanese, ora però quasi del tutto scomparsa.

Nella chiesa di Santa Maria Assunta si trova una collezione di 77 icone bizantine e post-bizantine "scritte" da vari artisti tra il XV e il XX secolo (la più grande collezione in Europa occidentale), che sono la testimonianza materiale più autentica della realtà greco-albanese di Villa Badessa. La più antica delle icone è quella della Madonna Odigitria.

Storia della fondazione di Villa Badessa

La maggior parte dei Badessani proviene da Piqeras, un paesino sul mare Adriatico, nel sud dell'attuale Albania. Al tempo in cui avvenne la migrazione dei suoi abitanti, la religione più diffusa era quella dei dominatori ottomani, cioè quella Islamica;  ma a Piqeras gli abitanti avevano mantenuto la religione Cristiana e ciò causava frequenti liti con i paesi vicini che erano passati all'Islam.

Non sono note le cause di queste frequenti liti, ma possiamo desumere che queste avvenivano probabilmente per motivi di religione, o per il possesso del territorio, o magari, per la pratica del "devscirme" (letteralmente: raccolta di bambini) che si usava praticare periodicamente tra la popolazione cristiana. Questa era una sorta di "tassa di sangue" consistente nel reclutamento forzoso della gioventù cristiana, prevalentemente di sesso maschile. I giovani venivano prelevati dalle loro famiglie ed islamizzati, per poi essere impiegati, talvolta in una posizione di rilievo, nel servizio militare e/o amministrativo dell'Impero.


soldato albanese
del reggimento "Real Macedonia"

Intanto nel Regno di Napoli, il Re Re Carlo IlI di Borbone aveva istituito nel suo esercito il reggimento "Real Macedonia" (anche: Macedone o Illirico) composto da soldati provenienti dallaMacedonia, dall'Albania, dalla Grecia e dalla Dalmazia e diversi soltati di questo reggimento provenivano da Piqeras. Questi erano sotto il comando del capitano Costantino Vlasi (Wlasj o Blasi), anche lui originario di Piqeras, il quale chiese, anche per conto dei suoi soldati, il temporaneo ricovero dei loro familiari nel Regno di Napoli, finchè infuriava la dominazione musulmana. Il Re accettò e fece stanziare 3000 ducati per sostenere le spese di viaggio dall'Albania nel Regno di Napoli.

Il 6 dicembre del 1742, gli abitanti dei vicini villaggi musulmani di Borsh e Golëm, nel Kurvelesh, attaccarono la comunità cristiana di Piqeras che si trova tra Borsh e Lukovë, nella regione di Ciamuria, e malmenarono gli sfortunati abitanti, ma, visto che erano “discendenti e imitatori dei loro padri” (di religione cristiana greco-ortodossa e coraggiosi), anche se erano solo 47, resistettero per sei giorni durante i quali vennero uccisi 27 musulmani di Borsh mentre nessun cristiano perse la vita.

Purtroppo per i cittadini di Piqeras non rimaneva che fuggire, perchè ad un cristiano era proibito tenere armi e, avendo ucciso ben 27 persone, era evidente che erano armati; perciò gli abitanti di Piqeras decisero di abbandonare il loro villaggio.

Un piccolo gruppo si fermò nel vicino paese di Lukovë e gli altri proseguirono verso sud per raccogliersi vicino a Saranda per imbarcarsi e raggiungere l'isola veneziana di Corfù; ma vennero scoperti e minacciati di denuncia da un musulmano. Così che uno dei cristiani “finì di pistola il Barbaro”. Poi, condotti da Spiro Idrio e dal diacono Demetrio d'Attanasio, proseguirono verso Othoni, isola che a quel tempo apparteneva alla Repubblica di Venezia. Qui aspettarono l'arrivo delle navi napoletane che li avrebbero portati a Brindisi.

Durante l'attesa delle regie navi, i fratelli De Martino, con una barca, tornarono di notte a Piqeras per prendere dalla chiesa del monastero Krimanove l'icona dell'Odigitria, colei che avrebbe indicata loro la giusta via. L'icona, restaurata più volte, oggi è custodita nella chiesa di Santa Maria Assunta di Villa Badessa.

Dal 4 marzo del 1743 le famiglie degli albanesi avevano raggiunto Brindisi dove, per il sospetto che i luoghi di provenienza fossero stati infettati dalla peste, dovettero fare la quarantena fino agli inizi di ottobre del 1743. In quei mesi ai loro bisogni provvide il colonnello don Giulio Cayafa, "castellano dei Regij Castelli di mare e di terra di Brindisi": anticipando il denaro per il loro mantenimento.

Gli albanesi cercarono in Puglia un sito dove stare ma, dopo un estate di grande calore e poca acqua non “piacque quella terra” e quindi partirono verso Pianella, in Abruzzo, dove arrivarono dopo 16 giorni di viaggio e vennero provvisoriamente sistemate in due case di proprietà della famiglia Farnese.

Gli abitanti di Pianella tentarono di levarseli di torno al più presto e agli albanesi non piaceva l'area che era stata loro assegnata; a questo punto i capifamiglia e gli ufficiali del "Ral Macedonia" che avevano scortato il gruppo fino in Abruzzo, visitarono più di una località scartandole l'una dopo l'altra perchè non ritenute fruttifere. Infine la scelta cadde su delle terre godute in affitto da tale Blasio Taddei, di Pianella, conosciuto con il soprannome “Abbadessa”.

Poco dopo, a 18 novembre 1743, a Villa Badessa, il papas Macario Nica celebrò il primo battesimo; era quello di Alessio Nghika, figlio di Gica Spiro e di Contessa Nicolarias. Padrino fu Don Antonio Castiglione, marchese di Penne.


il viaggio da Piqeras a Villa Badessa

Finalmente il 4 marzo 1744 venne stipulato l'atto di concessione delle terre aigli albanesi che “si trovavano già in questa terra [di Pianella] e collocate nel palazzo della serenissima Casa Farnese sin tanto che avranno fabbricato in detti territori le loro abitazioni e non altrimenti.

Fatta una perlustrazione sul luogo, i capifamiglia albanesi designarono il luogo dove avrebbero costruito le loro abitazioni. Furono erette due file di case ai lati della strada principale, che tutt'oggi si possono constatare in Via Italia. Le abitazioni originarie formavano casette rettangolari prolungate, mono-famigliari, soltanto il pianterreno, eccetto poche di proprietà dei notabili locali che avevano, oltre al pianterreno, anche il primo piano. Ciascuna abitazione aveva sul fronte strada una porta e due finestre. Un tozzo comignolo all'estremità completava la casetta, cui veniva annesso un piccolo appezzamento di terreno come cortile-orticello.


costume femminile di Villa Badessa

I nomi dei 18 capofamiglia che andarono a formare il nuovo insediamento erano le seguenti: Demetrio Atanasio (diacono); Atanasio Dima; Andrea Dimo; Giocca Dimo; Lessi Dimo; Giovanni Duca;  Michel Gini Atanasio; Michel Gini Gicca; Giocca Gicca Guma; Martin Lessi; Macario Nica (papas); Andrea Spiro; Giovanni Spiro; Michel Spiro; Dimo Varfi; Ghi Vranà;  Gini Vrana; Giocca Gicca Zupa.

Nel 1748 arrivarono dall'Albania cinque nuove famiglie per un totale di 23 persone. I capifamiglia erano: Dimo Pali (auch: Palli); Gicca Pali; Giocca Pali; Gicca Pali Micheli;  Gicca Atanasio. A questo punto la colonia era formata da 23 famiglie.

Nel 1806, durante il dominio napoleonico, il villaggio di Badessa divenne una frazione di Rosciano e, per la piccola dimensione e la presenza solo embrionale di organi di rappresentanza, venne denominato “Villa”, che venne aggiunto al nome di Badessa.

Villa Badessa oggi

A Villa Badessa la lingua albanese è sopravvissuta sino al 1993, quando l'ultimo a parlarla è deceduto; ma, malgrado la scomparsa della lingua, l'identità albanese di Villa Badessa non è scomparsa. Sopratutto è rimasto il  Rito bizantino e ne è testimonianza la patrona Santa Maria Odigitria (Shën Mëria e Odhijitries). La chiesa parrocchiale di Villa Badessa, intitolata a Santa Maria Assunta, dipende dall'Eparchia di Lungro e si celebrano le funzioni religiose secondo il rito bizantino.

La chiesa, costruita nel 1754, è un piccolo edificiocon elementi tipici dell'architettura greco-balcanica, con struttura semplice e austera, trifone sulla facciata e un pronao semicircolare che mette in comunicazione il mondo esterno con l'interno, accompagnando il fedele durante l'ingresso nell'ambiente sacro; nel suo interno si possono ammirare, oltre la splendida iconostasi, 75 preziose icone, tra cui spicca quella di San Spiridione risalente al XVIII secolo, Santa Maria Odigitria e il "Kimissos" (la Dormizione).


interno della chiesa di Santa Maria Assunta

Caratteristica è la distribuzione del pane benedetto (buka e bekuam), delle uova pasquali (vet pashkje) e del grano bollito (gruret) che avviene subito dopo la funzione religiosa del Christos Anesti (Krishti u Ngjall), per Pasqua.

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