Nel 1461 Giorgio Castriota Scanderbeg giunse in Italia per aiutare Ferdinando I, Re di Napoli, figlio del suo amico e protettore Alfonso d’Aragona, nella lotta contro i sostenitori di Giovanni d’Angiò, pretendente al trono di Napoli.


veduta aerea di Monte Sant’Angelo

Nella primavera 1464, Scanderbeg tornò nel Mezzogiorno d'Italia e a Roma. Sappiamo che il 14 aprile del 1464, Scanderbeg prestò di persona omaggio feudale a Ferrante I, a Napoli. Il  “die XII aprilis anno millesimo quadringentesimo sexagesimo quarto”,  Re Ferdinando concesse a Scanderbeg una provvigione annua di 1200 ducati.

Scanderbeg apparve improvvisamente a Roma a metà dicembre del 1466. Scanderbeg passò anche a Napoli dove il re Ferrante I gli concesse per la sua causa 1500 ducati e, per il suo aiuto in Puglia nell'anno 1461, emanò il 10 aprile del 1467 un privilegio, esecutoriato tre anni dopo (ma per cui prestò giuramento di fedeltà quattro giorni dopo), con il quale concesse a lui e ai suoi legittimi eredi presenti e futuri in feudo le terre di Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo in Capitanata. Poi la guerra contro gli ottomani richiamò Scanderbeg in patria, dove morì il 17 gennaio 1468.


Giovanni Castriota
dipinto di Roberto Gammone

Subito dopo la morte di Scanderbeg, la vedova di Scanderbeg, Andronica (Donica) Arianiti Muzaka, scrisse a re Ferdinando I di Napoli per informarlo della morte del marito e espresse il desiderio di poter venire con il figlio Giovanni nel regno di Napoli che il re accettò nella sua lettera del 24 febbraio 1468. Sembra tuttavia che la dimora preferita di Andronica, non sia stato il feudo garganico, quanto Napoli.

Giovanni Castriota invece restò a governare il suoi feudi dimorando nel castello di Monte Sant’Angelo. Nel 1483 Giovanni Castriota si impegnò nella difesa del Gargano contro gli ottomani; infatti sia egli che gli abitanti di Vieste avevano avvertito Re Ferdinando I dei movimenti sospetti di una flotta ottomana e avevano apprestato delle difese. Il sovrano si compiacque con Giovanni Castriota per la diligenza adottata per scoraggiare lo sbarco delle armate nemiche e lo pregò di fare ancora “tucte le provisione seranno necessarie in diete terre de marina et maxime in la cita de Vesti acciò se possa stare con animo securo non possere per alcuna via essere offesi” .


il castello di Monte Sant’Angelo

I feudi di Monte Sant’Angelo e San Giovanni Rotondo procacciavano ad Andronica e a suo figlio Giovanni Castriota delle discrete entrate, insufficienti però a sopperire ai bisogni del loro alto tenore di vita. E, se a Donna Andronica i soldi non bastavano, essi erano ancor meno sufficienti a coprire le spese del figlio Giovanni, il quale si trovò indebitato anche con la Regia Corte. Da qui vessazioni e continui tentativi di sottoporre la popolazione a un insopportabile fiscalismo. Questo durò fino al 1485, quando Giovanni Castriota, chiese ed ottenne dal Re di Napoli la permuta di Monte Sant’Angelo, Trani e San Giovanni Rotondo con le terre di Soleto e di San Pietro in Galatina, presso Lecce.

Il feudo di Monte Sant’Angelo rimase vacante per alcuni anni, finché nel 1497 fu assegnato al capitano Consalvo Fernandez di Cordova, che fu anche viceré di Napoli.

Il 2 agosto 1485, Giovanni Castriota lasciò i feudi garganici e scese nel cuore del Salento, dove Fernando I lo infeudò nelle terre di San Pietro in Galatina col titolo di Duca e di Soleto col titolo di Conte. Con privilegio del Re di Napoli del 10 febbraio del 1495, Giovanni venne infeudato con le signorie di Oria e di Gagliano del Capo. Andronica, la vedova di Giorgio Castriota Scanderbeg, nel 1498 ebbe invece dal Re Federico I di Napoli il solo castello di Gagliano del Capo, a pochi chilometri dal Capo di Leuca.


panorama di San Giovanni Rotondo

A ricordare la signoria dei Castriota sul Gargano restò una piccola colonia albanese insediatasi a San Giovanni Rotondo. Si trattava di una ventina di famiglie che Giovanni Castriota aveva fatto venire dall’Albania e che gli appartenevano come servi e famigli; questi preferirono non seguire il loro padrone a San Pietro in Galatina.

Rimasti a San Giovanni Rotondo, per parecchio tempo gli albanesi non furono ritenuti cittadini a pieno titolo; infatti in quanto profughi, erano considerati nullatenenti, e quindi godevano dei privilegi in materia fiscale ed erano esentati dal dover contribuire ai pagamenti fiscali ordinari.

Però i governanti locali tendevano a sottoporre gli albanesi al regime fiscale ordinario e quindi al pagamento di tutte le tasse dovute allo stato; fortunatamente per loro si mosse Donna Andronica che, in data 20 novembre 1488, intervenne presso il commissario di Capitanata perché sospendesse l’esazione dei tributi o altrimenti annoverasse gli albanesi tra i cittadini ordinari.

Per quanto concerne Monte Sant’Angelo, anche qui vi era una colonia albanese, i cui membri però erano giunti precedentemente alla venuta di Scanderbeg in Italia. Alcuni di essi, rispondenti ai nomi di Gusman, Lillo, Matteo di Giorgio, Michele, Pietruccio di Giorgio, Stefano, e individuati con l’aggettivo Albanese, compaiono nel registro dei conti per i lavori del castello di Manfredonia eseguiti negli anni 1487-1491. Anche lo scavo del fossato per il restauro e il potenziamento del castello di Monte Sant’Angelo negli anni 1490-1491 annovera tra gli operai degli albanesi: Michaya Albanese, Stefano de Michaya, Cola Albanese.

Nel 1540 sia a San Giovanni Rotondo che a Monte Sant’Angelo non vi era più alcun albanese o, quanto meno, gli albanesi si erano integrati con la popolazione locale. In un documento di quell’anno sono riportati tutti gli insediamenti di greci e albanesi di Capitanata, con la loro consistenza numerica ed è muto su San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo. Infatti, per il Gargano, il documento registra la presenza di colonie albanesi solo a Manfredonia, Vieste, Peschici, Carpino, Apricena.

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