ROCCAFORZATA

Roccaforzata è un comune italiano di circa 1 800 abitanti della provincia di Taranto ed è situato sulla collina più alta della Serra di Sant’Elia, un rilievo ad est di Taranto. Il nucleo storico del paese è situato sull’orlo di un precipizio che domina la Serra di Sant’Elia, intorno alla Residenza Fortificata che ne costituisce il monumento più interessante.


veduta aerea di Roccaforzata

Le prime notizie su Roccaforzata risalgono al 1315, quando era conosciuto col nome di Rocca Vecchia, mentre la denominazione attuale risale agli inizi del XIX secolo. L’area della Serra di Sant’Elia è stata abitata dai tempi più antichi. Infatti sono stati trovati reperti archeologici che vanno dalla prima Età del Ferro (IX-XIII secolo a. C.) sino alla fine del III secolo a. C..

Il silenzio delle fonti non consentono di ricostruire gli avvenimenti che videro protagonista il casale di Rocca nel XV secolo, né ci dicono del ruolo avuto prima e durante le complesse ed ancora oscure vicende dei soldati albanesi di Giorgio Castriota Scanderbeg negli anni 1460/61. Al di là dei motivi che determinarono l’intervento albanese nel Sud d'Italia, e a cui non furono estranee le rivolte dei baroni, rimane il fatto che il casale di Roccaforzata probabilmente subì il saccheggio e forse la distruzione di cui, sebbene nessuna testimonianza ne parli chiaramente.

Nel 1465, Raffaele Delli Falconi di Lecce, che servì Ferrante I d'Aragona nell'ambasceria di Francia, ottenne in dono la Signoria di Roccaforzata il che potrebbe significare che Roccaforzata faceva parte dei possedimenti di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, l'ultimo Principe di Taranto e capo dei baroni in rivolta contro il Re di Napoli Ferrante I d’Aragona che, nel 1465 inglobò il territorio nel Regno di Napoli.

La prima volta che se ne fa menzione nei documenti è verso la fine del secolo XV, quando "Casalis Rochae" viene nominato in un privilegio della città di Taranto. Sembra che allora fosse abitato da gente indigena, raccoltasi su quel colle fortificato per sottrarsi alle continue incursioni dei pirati barbareschi. 


la residenza fortificata di Roccaforzata

Nel marzo del 1519, il Re Ferdinando I d’Aragona cedette il feudo di Roccaforzata, con il privilegio di farlo ripopolare dai suoi connazionali, a Lazzaro Mattes, comandante degli stradioti albanesi al servizio del Regno di Napoli. Alla morte di Lazzaro Mattes gli successe il figlio Giovannangelo.

L'indebitamento e la morosità portarono frequentemente a cedere il feudo mediante asta pubblica come avvenne nel 1549 quando Giovannangelo Mattes fu costretto da Giulio Cesare Brancaccio, suo creditore, a vendere il casale di Roccaforzata a Fabrizio Carafa che a sua volta lo rivendette nello stesso anno a Gabriele Scorna, a cui successe nel 1559 il figlio Scipione.

Nel 1561 Scipione Scorna vendette il casale di Roccaforzata a Geronimo Forza. Nel 1612 il casale fu ceduto a Nicola o Niccolò Renesi, proveniente da Zara in Dalmazia (oggi Croazia), capitano degli stradioti al servizio della Repubblica di Venezia che si era ritirato a Napoli. Successe a questo nel 1617 il nipote Busicchio che nel 1656 cede il feudo alla nipote Giustina Renesi.

Giustina Renesi morì senza figli nel dicembre 1679, lasciando in eredità il feudo al nipote Domenico Ungaro. A lui successero Vincenzo Domenico e Mario Ungaro, il quale,  per le tristi condizioni economiche in cui versava, vendè il casale di Roccaforzata insieme a San Martino a Domenico Chiurla. La famiglia Chiurla (Nicola, Pasquale Nicola e Nicola junior) mantenne il feudo sino al 1804, nel quale anno con decreto della regia Camera della Sommaria, successe Nicola Chiurlia (junior) ultimo feudatario che restò fino alla soppressione della feudalità con le leggi del 1806 e del 1809, emanate rispettivamente da Giuseppe Bonaparte e da Gioacchino Murat.


la chiesa matrice di Roccaforzata

Intanto gli arbëreshë, che inizialmente non andavano d’accordo con gli abitanti "latini" (italiani) per la diversità del rito, si appartarono creando una nuova dimora poco discosto con una chiesa propria. Dopo, a poco a poco, si imparentarono con i "latini", i quali si abituarono talmente agli usi e ai costumi degli albanesi che, quando morì il loro parroco, ne abbracciarono anche loro il rito bizantino.

La chiesa più importante degli albanesi era intitolata alla Santissima Trinità ed aveva la sua abside e l’iconostasi. Il papas, Pietro Psatillo, era stato ordinato sacerdote dal metropolita greco Benedetto di Corone nel 1548. Meno importante era l’altra parrocchia, situata in mezzo al paese, di cui era parroco, papas Pietro Palumbo, ordinato secondo il rito bizantino nel 1569. 

Nel maggio del 1578, nella visita pastorale di Mons. Lelio Brancaccio, arcivescovo metropolita di Taranto, soppresse la seconda chiesa ed esortò gli albanesi a "smettere il rito bizantino ed abbracciare il rito latino", ma inutilmente, perchè gli albanesi rimasero fedelmente attaccati alle tradizioni sino a tutto il secolo seguente. Solo all’inizio del XVIII secolo il rito bizantino cominciò a cedere terreno per le continue insistenze dei prelati tarantini. Poi, con il passare del tempo gli albanesi dimenticarono anche la lingua dei loro padri.

Il casale di Mennano e il Santuario della Madonna della Camera

A circa 1,5 km a sud-est di Roccaforzata vi sono i ruderi dell’antico casale di Mennano del quale ci è pervenuto solo il nome. Solo nei registri angioini si riscontrano poche notizie in un diploma della regina Giovanna I del 1347, da cui si evince che il casale era allora abitato e veniva ceduto all'arcivescovo di Taranto Ruggero Capitignano-Taurisano col titolo di baronia. Nel "Cedularia Terrae Idronti"  del 1378 si trova tassato, insieme al casale di San Martino, oggi non più esistente.

È probabilmente che Mennano faceva parte dei possedimenti di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, l'ultimo Principe di Taranto e capo dei baroni in rivolta contro il Re di Napoli Ferrante I d’Aragona che, nel 1465 inglobò il terriotrio nel Regno di Napoli. Nel 1571 troviamo Mennano in un documento che descriveva i confini del territorio tarantino.


ruderi del casale di Mennano e del vicino frantoio del 1840

Dalle poche e frammentarie notizie della santa di Mons. Lelio Brancaccio, eseguita nel maggio del 1578, si rileva che in quel tempo il casale era stato abbandonato e si trovava solo la cappella, in cui l'arcivescovo proibì che celebrassero i preti di rito greco-bizantino. Oggi del casale di Mennano non rimangono che pochi ruderi.


ruderi del casale di Mennano

Adiacente ai ruderi del casale di Mennano, vi è il piccolo Santuario della Madonna della Camera, in quei tempi un santuario importante, dove gli arbëreshë di rito bizantino si recavano la quinta domenica dopo Pasqua, per festeggiare la solennità della Vergine SS. sotto il titolo della Camera.

Nel 1578, Mons. Lelio Brancaccio, nella sua visita pastorale, la presenta come una chiesa importante che, all'esterno, aveva bisogno di serie riparazioni. All'interno, la chiesa era divisa in mezzo da un muro a guisa di balaustra, avente due porte d'ingresso. Al di sopra dell'altare maggiore si trovava una pittura del Salvatore con le figure dei dodici apostoli e di altri santi orientali. Questa chiesa era poi in comunicazione con l'antica cappellina dove dimorarono per secoli i Calogeri e intorno alla quale sorse più tardi l'antico casale di Mennano.

Dopo l'abbandono del casale di Mennano, la cappella, rimasta isolata, perdette la sua importanza. L'Arcivescovo proibì che vi celebrassero i preti di rito bizantino di San Martino e di Roccaforzata e gli arbëreshë iniziarono a disertare il santuario.

Nel 1589 Giovan Giovine, membro del Capitolo Cattedrale di Taranto, descrisse la chiesa come "edicola". Successivamente la parrocchia greca venne sostituita da una parrocchia latina.

Oggi il santuario, intorno al quale si narrano diverse leggende, è oggetto di particolare devozione da parte dei cittadini di Roccaforzata e dei paesi vicini.

La prima leggenda sul santuario narra che, al tempo dell'invasione ottomana (fine XV secolo), le popolazioni di Roccaforzata e Monteparano si rifugiarono nell'omonimo Santuario sito nel villaggio di Mennano, l'unico luogo sicuro. Quando gli ottomani sfondarono la porta della chiesa furono accecati da una luce fortissima irradiata dagli occhi della Madonna all'interno della "camera".


l’ingresso principale del Santuario

Un'altra leggenda narra che quando un capitano ottomano dinanzi alla chiesa di Santa Maria ordinò che si abbattesse la porta, quella resistette. Turbato, allontanò la milizia, bussò dolcemente e subito la porta si schiuse. All’interno, ai piedi della Madonna col Bambino dipinta sulla parete, trovò contadini oranti e fanciulle impaurite. Commosso dalla scena, il capitano si fece il segno della croce (si convertì) e ordinò ai suoi uomini che si apprestavano a distruggere Roccaforzata di dirigersi verso il mare. In tal modo sia il santuario che il vicino casale di Mennano furono salvi. Era il giovedì dopo Pasqua e per quella occasione le campane suonarono a festa.


l’interno del Santuario

Inoltre si narra di una contesa sorta tra gli abitanti di Roccaforzata e quelli di Monteparano, a causa di un mancato accordo circa l’appartenenza della chiesa della Madonna della Camera. Si stabilì che sarebbe stata la Vergine a indicare a quale casale appartenere. Dall’orientamento dello sguardo della Madonna all’indomani di questa risoluzione, si sarebbe giunti ad una soluzione. Poiché lo sguardo era rivolto verso Roccaforzata si comprese che la Vergine aveva scelto in favore di quel casale.


la Madonna della Camera

Quella che allora era la Cappella di Santa Maria della Camera è datata 1462 ed è costruita secondo l’architettura bizantina, cioè secondo i punti cardinali est-ovest, con l’altare ad est e l’ingesso a ovest. La chiesa era poi in comunicazione con l’antica cappella del XIII secolo dove dimorarono per secoli i calogeri. Della cappella, oggi, si vede solo l’abside.

La Madonna, secondo la tipologia iconografica dell’Odigitria, indica con la mano destra il Bambino posto alla sua sinistra. Gesù reca nella mano sinistra il globo mentre con la destra benedice. Attualmente l’affresco, frutto di numerose ridipinture e rimaneggiamenti, è stato ritagliato e incorniciato.

Oggi al Santuario viene celebrata la Santa Messa ogni primo sabato del mese alle ore 9.30, mentre i festeggiamenti della Madonna si tengono il primo giovedì dopo Pasqua con processione, luminarie e fuochi d’artificio.

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