Amato (in arb.: Amati) è un comune della provincia di Catanzaro in Calabria. Il paese, situato in una parte centrale della regione, è posto geograficamente tra il Comune di Serrastretta e quello di Miglierina ed è equidistante da Catanzaro e Lamezia Terme. La popolazione è attualmente di circa 780 abitanti e, come gli altri paesi del circondario, ha subito la piaga dell’emigrazione.

La storia di Amato

I primi cenni storici su Amato risalgono al 1060 quando il feudo viene descritto come quasi disabitato e il Signore di Amato era Guglielmo Altavilla, figlio di Tancredi d'Altavilla.

Le prime notizie certe su Amato si hanno nel il 1° novembre del 1441, quando il Re Alfonso I riconobbe a Francesco Rodìo (anche: Rodio o Rhodio), figlio illegittimo di Giovannello Rodìo, il diritto alla successione paterna del feudo denominato “de Lornato”. Successore divenne il figlio Paolo con regio decreto di re Ferdinando il 2 ottobre del 1464. Il feudo rimase in mano al Rodio fino al 26 maggio del 1505 quando, con regio assenso donò la Baronia di Amato alla figlia Moisessa, che nel 1515 sposò Roberto della famiglia catanzarese Susanna. Nel 1598, il feudo troviamo in mano a Fabrizio Susanna, figlio di Giovanni Alfonso Susanna e nipote di Roberto Susanna che, però, morì di lì a poco e per mancanza di discendenti maschi e gli successe la sorella Lucrezia che sposò Ascanio della famiglia Rocca di Taverna del catanzarese.

Nel 1627 il feudo fu venduto a Marcantonio Loffredo, principe di Maida che nello stesso anno, lo vendette a Orazio Mottola di Monteleone. Il successore, il figlio Donato Antonio, negli anni si guadagnò il gran merito presso la Corte di Spagna e nel 1675 il titolo di Marchese di. I Mottola detennero il paese sotto la loro giurisdizione fino al 1811, quando in Italia fu abolito di fatto il feudalesimo tolse di fatto il feudalesimo, lasciando ai vari signori solo il titolo.

L’arrivo degli Albanesi

Probabilmente gli albanesi giunsero ad Amato dopo il 1479, quando l’intera Albania, con la caduta di Kruja (1478) e di Scutari (1479), era quasi totalmente nelle mani degli Ottomani. In quell’occasione molti albanesi abbandonarono l’Albania per venire a vivere in Italia, sperando di trovare condizioni di vita migliori. Con loro vennero fondate nuove colonie o reinsediate località spopolate.

Gli Albanesi si sarebbero insediati in contrada “Piani d’Amato”, su un precedente insediamento abbandonato, nei pressi della confluenza del torrente Cancello con il fiume Amato. Ma i primi documenti ufficiali che ci confermano la presenza degli albanesi ad Amato risalgono al 1530. La prima numerazione di fuochi di Amato, conservata nell’Archivio di Stato di Napoli, registra esclusivamente tassazioni albanesi per 19 fuochi.

Per quasi due secoli ad Amato gli albanesi hanno parlato solamente la lingua dei loro padri ed hanno mantentuto il rito greco-bizantino, oltre alle usanze e ai costumi simili a quelli del loro paese di origine.

A partire dal XVIII secolo, iniziò un inarrestabile processo di assimilazione; gli Albanesi, che avevano già perso il rito greco-bizantino, persero gradualmente la loro cultura e la loro lingua e, tanto che oggi troviamo pochissime tracce della loro permanenza. Resta, a ricordo della loro esistenza una fontana, chiamata “dei Greci” e una via intitolata ai “greci”.


la fontana dei Greci nella via omonima

Ad Amato è interessante da visitare la chiesa parrocchiale dell’Immacolata, edificata dai primi coloni albanesi. La costruzione della chiesa risale al 1500, l’attuale aspetto architettonico è il risultato di successivi rimaneggiamenti per la maggior parte risalenti al 1700.

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