Pallagorio (in lingua arbëreshe: Puhëriu) è un comune della provincia di Crotone, in Calabria. Il paese, chiamato anche “Paragolio” (come viene denominato ancora oggi dagli abitanti delle vicine comunità calabresi), “San Giovanni in Paragolio” o “San Giovanni de Palagorio”.

Diverse sono le tesi sul significato del toponimo arbëresh di “Puhëriu”. Secondo alcuni deriva da “Puhe e ri”, che vuol dire “Nuova Puhe”, un possibile paese in Albania che aveva questo nome, secondo altri ancora da “Pucciur e riut”, che vuol dire “Baciata dal vento” con riferimento alla posizione geografica favorevole.

Il paese sorge a 560 m s.l.m. nella fascia collinare presilana a nord del Marchesato di Crotone e confina con i comuni di Carfizzi, Casabona, Campana, San Nicola dell’Alto, Umbriatico e Verzino. L’abitato si snoda lungo lo spartiacque di due torrenti che confluiscono nella fiumara Vitravo.

 

Storia di Pallagorio

Le origini di Pallagorio sono incerte e spesso i diversi autori hanno scritto la storia del paese confondendola con quella di “Palagorio di Borgia”, un villaggio del Cosentino esistito almeno fino al 1604, quando i suoi abitanti, a causa delle incursioni dei saraceni e del diffondersi della malaria, si spostarono e fondarono un nuovo centro abitato dandogli il nome di “Borgia”, che mantenne anche la dizione di “alias Palagorio”.

Probabilmente in età romana, nell’area prospiciente il borgo l’attuale Pallagorio, lungo la vallata del fiume Vitravo, si insediarono dei coloni latini. Infatti di tale periodo rimangono a testimonianza le significative tracce di resti di ville agricole rinvenute lungo tutto il corso del fiume Vitravo.

Nel Medioevo, a causa delle guerre incessanti, della carenza di cibo e dell'insicurezza del territorio, i vecchi centri abitati lungo la vallata del fiume Vitravo vennero abbandonati e i loro abitanti si riunirono intorno alle attuali località di Scea-Cucinaro e Cocinelle-Valle, nel territorio di Umbriatico, creando in un unico insediamento di pochi abitanti, per lo più contadini, che dipendeva dalla diocesi di Umbriatico.

Il 22 aprile del 1452 Luca Sanseverino, conte di Tricarico e di Chiaromonte, acquistò le terre di Umbriatico da Marino Marzano Ruffo. Questa compravendita venne confermata da re Ferrante nel 1459.

Nel 1479, la Contea di Cariati, comprendente le terre di Umbriatico, divenne feudo di Girolamo Riario. Nel 1484, la Contea di Cariati passò a Francesco Coppola il quale, coinvolto nella 2^ Congiura dei Baroni (1485-1486), nel 1487 fu spogliato della contea di Cariati che venne incamerata nel regio demanio.

Dal 20 febbraio del 1505 troviamo Giovanni Battista Spinelli, 1° Conte di Cariati (comprendente anche le terre di Umbriatico). Nel 1682, Carlo Filippo I Spinelli Savelli, 5° Principe di Cariati, vendette la città di Umbriatico con il suo casale “Sangiovanni in Pallagorio” a Scipione Rovegno. I Rovegno tennero il feudo sino alla fine del Settecento.

Gli albanesi a Pallagorio

Non si sa con esattezza quando gli Albanesi siano giunti nel casale di "San Giovanni de Palagorio"; è certo che il casale non era presente nella numerazione dei fuochi albanesi degli anni 1503, 1508, 1543, 1548, 1566 e 1567.

Secondo quanto tramandato oralmente, dopo un primo accampamento in località Sant'Anna, ritenuta all'epoca una zona malarica, si trasferirono nella località attuale già abitato da “latini”. A quel tempo il territorio di Umbriatico era feudo di Scipione II Spinelli, 4° principe di Cariati dal 17-1-1614 (data di morte del padre Carlo II), e fu una decisione dello Spinelli quella di consentire la venuta degli Albanesi nel casale di “San Giovanni de Pallagorio”.


il costume tradizionale di Pallagorio

Il vescovo di Umbriatico Pietro Bastone (1611-1621) nella sua relazione in data 2 dicembre 1618 per la prima volta riferisce la formazione del nuovo casale di “San Giovanni de Palagorio”, costruito da poco dal principe di Cariati: “Nel territorio di questa città di Umbriatico nel luogo che si chiama San Gioanne de Palagorio ci sono alcuni uomini, che si sono riuniti di recente, sia latini che Albanesi; qui hanno costruito venti tuguri e vi abitano con tutta la loro famiglia. Situato in diocesi di Umbriatico e soggetto “in spiritualibus” al suo vescovo…”.

Nel 1634 Pallagorio contava 387 anime, con un sacerdote di rito bizantino e uno di rito latino. Più volte il Vescovo di Umbriatico tentò di imporre il rito latino, ma gli Albanesi si ribellarono a tale imposizione. Il Vescovo scrisse ai suoi superiori chiedendo loro, come doveva comportarsi con gli Albanesi, che volevano mantenere il rito bizantino: “… la parte maggiore degli Albanesi, che pur nati da genitori seguenti ed osservanti il rito greco, per più anni ha seguito il latino, ugualmente giornalmente e di frequente ci disturba e, minacciando spargimento di sangue, reclama un prete greco e vuole ritornare al rito greco. Per tale motivo abbiamo curato di erigere di nuovo e fabbricare a nostre spese un diruto sacello, che si trovava sul luogo”.

I tentativi della transizione dal rito bizantino a quello latino divennero più evidenti mentre era vescovo Bartolomeo Criscono (1639 –1647), il quale così si esprimeva: “Ci sono nella mia diocesi tre casali albanesi, che vivono secondo il rito greco, tuttavia i loro sacerdoti sono a tal punto ignoranti che non sanno né il loro rito né le funzioni nell’amministrazione dei sacramenti. Vi trovai anche alcuni latini che vivevano promiscuamente; affidai a sacerdoti secolari che ai detti latini si amministrasse secondo il rito della chiesa latina. In futuro curerò che i preti greci apprendano il loro rito ed anche che gli Albanesi seguano il rito latino”.

Risultato evidente di questa politica di costante pressione e repressione fu la nomina a parroco di Pallagorio di Antonello Sisca, prete di rito greco della diocesi di Umbriatico. Il Sisca, superato il concorso per accedere alla chiesa parrocchiale del Santissimo Salvatore di Pallagorio, lasciò sua moglie e nel novembre 1644 ottenne da Papa Innocenzo X il permesso di passare al rito latino.

Con l’arrivo del nuovo vescovo Vitaliano Marescano (1661-1667) nel 1662 il rito bizantino venne definitivamente abolito. Furono cancellate definitivamente tutte le cerimonie e le funzioni bizantine, le quali tuttavia continuarono ad essere praticate dalla popolazione, anche se in maniera semiclandestina.

Durante il vescovato di Agostino De Angelis (1667–1681) anche se in apparenza il rito bizantino non era più praticato, in realtà esso sopravviveva nelle molte espressioni della vita quotidiana, tanto che il vescovo spesso doveva intervenire comminando pene severissime.

Nel 1662 Pallagorio, a causa della peste, si era ridotto a soli 600 abitanti, e passò a 700 nel 1666. Nel 1684 la popolazione salì a circa 1000 abitanti; nel 1688 ritornò a 700 abitanti. Dalla “Relazione ad Limina” del 1783 si evince che gli abitanti di Pallagorio erano 549. Alla fine del Settecento Pallagorio aveva circa 500 abitanti.

I Francesi, con la legge del 19 gennaio 1807 fecero di San Giovanni in Pallagorio un “Luogo”, ossia Università nel cosiddetto Governo di Cirò, in provincia di Cosenza. Il successivo riordino, disposto per decreto 4 maggio 1811, riconobbe Pallagorio come frazione di Umbriatico. Nel 1819 la diocesi di Umbriatico, fu soppressa; di conseguenza Pallagorio andò a far parte della diocesi di Cariati ed in questa situazione rimase fino al 1979, quando fu aggregato alla diocesi di Crotone.

Oggi gli abitanti Pallagorio non praticano più il rito greco-bizantino, ma conservano le tradizioni dei padri e parlano la lingua degli arbëreshë, anche se con una notevole componente del dialetto calabrese. I cognomi di origine albanese più diffusi sono: Amato, Astorino, Gangale, Gentile, Giudicassi, Iocca, Masci, Mazza, Mustacchio, Proto.

Una nota figura arbëreshe di Pallagorio è Anselmo Lorecchio (1842-1924), avvocato, giornalista, poeta, scrittore di lingua albanese, attivo pioniere del Risveglio della Nazionalità Albanese e direttore della rivista "La Nazione Albanese".

Monumenti e luoghi d’interesse

La Chiesa Matrice di San Giovanni Battista, di età medievale, ampliata e restaurata nel XVI secolo in stile cinquecentesco a tre navate, con abside bizantina.

La Chiesa della Madonna del Carmine, edificata agli inizi del XVII secolo, in stile neogotico ad una navata con campanile toscaneggiante, più volte restaurata ed ampliata nel corso dei secoli moderni; Al suo interno è custodita una statua lignea della Madonna di pregevole fattura, che si fa risalire al settecento.


la chiesa della Madomma del Carmine

La Chiesa di Santa Filomena, del XIX secolo, in stile neoclassico con cupola neo-bizantina.

La Chiesa di S. Antonio, a pochi Km dal centro abitato, con strutture murarie originarie di età bizantina: fu piccolo convento abitato da monaci basiliani.

La Chiesetta di San Cristoforo, edificata, in età moderna su un antico centro monastico basiliano risalente all’VIII sec. d.c., e sottoposta, poi, a vari restauri.

 

L’area archeologica: tutto il territorio circostante il paese ha grande interesse archeologico; rilevanti le evidenze archeologiche, in contrada “Tre fontane di Cona” con resti di un’antica necropoli e reperti riferibili al culto orfico, oltre a resti sparsi di mura di abitazioni, frammenti di statuette ed anfore di età classica.

In contrada “Gradea”, sono emersi frammenti di mura, anfore, statuette votive e tombe di età classica, mentre in località Sant’Antonio sono state rinvenute antefisse tipo “bendis” riferibili ad un antichissimo tempio del VI-V sec. a.C..

Nelle contrade: “Scea”, “Conicelle”, “Rosicelle” e “Spolingari”, situate in prossimità del paese, sono venuti alla luce resti di mura in mattone cotto e frammenti di anfore per uso domestico di età magno-greca.

Bibliografia

F. Tajani, Istorie Albanesi, f.lli Jovine, Salerno, 1886

D. Zangari, Le colonie Italo Albanesi di Calabria, Casella, Napoli 1940

C.Gentile, Spigolando in Arberia. Alla riscoperta delle ricchezze storiche di Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto, EBS Print, 2016

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