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Piana degli Albanesi (in lingua arbëreshe: Hora e Arbëreshëvet) è un comune di 6128 abitanti (al 31 marzo 2018) della città metropolitana di Palermo, dalla quale dista 24 km. Il paese, situato a 740 m s.l.m. su un altopiano montuoso e sul versante orientale del monte Pizzuta, ha un’estensione di circa 64,92 kmq ed è inserito nella “riserva naturale orientata Serre della Pizzuta” e nel “lago di Piana degli Albanesi”. Il paese confina con i comuni di Altofonte, Monreale, Santa Cristina Gela.

Il territorio è caratterizzato da sorgenti e attraversato da vari fiumi e torrenti ricchi d’acqua: in particolare il fiume Gjoni, uno dei due fiumi del centro abitato che oggi scorre sottoterra, e il fiume Honë, sbarrato da una diga che forma il lago di Piana degli Albanesi. All’interno del territorio comunale si trova inoltre il lago Scanzano, anch’esso artificiale.

Storia di Piana degli Albanesi

Non si può determinare con precisione quando gli albanesi abbandonarono la loro patria per approdare in Sicilia, come pure non vi sono dati certi sulle zone della loro provenienza, anche se alcuni indizi (la lingua, il rito religioso, le tracce onomastiche e toponomastiche) lasciano supporre che gli esuli provenissero dalla Labëria e dalla Çamëria.

Visto che il 30 agosto 1488 furono rogati i Capitoli di fondazione di Piana degli Albanesi, è facile dedurre che la colonia fu fondata qualche anno prima di tale data. Secondo quanto afferma Giuseppe Schirò nell’VIII volume di “Opere”, edito da Rubbettino nel 1999, la diaspora verso la Sicilia avvenne a partire dal 1485, mentre Francesco Giunta nel suo volume “Albanesi in Sicilia”, edito a Palermo nel 1984, afferma che l’esodo avvenne tra il 1479 e il 1481.

I profughi albanesi, sbarcati nei pressi di Solunto e costretti dalle autorità locali a dirigersi verso l’interno per timore di eventuali rappresaglie da parte dei pirati turchi, cercaro­no in diverse parti della Sicilia il luogo dove insediarsi e dopo alcuni tentativi durati diversi anni, si fermarono negli ampi territori amministrati dalla Mensa Arcivescovile di Mon­reale.Secondo la tradizione, il villaggio, in un primo tempo, fu fondato alle pendici del monte Pizzuta.

I Capitoli di fondazione furono rogati il 30 agosto 1488 dopo che il Presidente del Regno siciliano, Raimundo Santapau, il 13 gennaio 1487 aveva concesso agli amministratori della Mensa Arcivescovile di Monreale la “licentia populandi” che autorizzava la costruzione del villaggio. Vennero quindi assegnati agli esuli due feudi denominati Merco ed Ainidyngli (Dandigli, oggi Dingoli) a “Ioanni Barbati et sociis” (Giovanni Barabti ed altri), situati nell’entroterra montuoso presso la pianura della Fusha. Inoltre venne stabilito che, entro tre anni dall’insediamento, gli albanesi erano tenuti ad edificare le loro abitazioni e ad avviare l’agricoltura per il sostentamento. Pena il ritiro delle stesse terre.

Gli albanesi che firmarono i Capitoli di fondazione furono: Giovanni Barbato, Pietro Bua, Giorgio Golemi, Giovanni Schirò, Giovanni Macaluso, Tommaso Jani, Antonio Troja, Matteo Mazza, Teodoro Dragotta, Giorgio Burlesci, Giovanni Parrino, Giorgio Ipsari, Giovanni Canniti, Giorgio Bruscari.

Il villaggio in un primo tempo fu fondato alle falde del monte Pizzuta ma, a causa dei rigori invernali, gli albanesi decisero di spostarlo più a valle. Il nuovo villaggio venne quindi costruito sulle falde di una collina che dominava un’estesa area pianeggiante denominata “Casale Planicili Archiepiscopatus Montisregalis” o “Piana dell’Arcivescovo”, ma appena costruito, l’abitato ufficialmente fu conosciuto come “Nobilis Planae Albanensium Civitas”. Questa denominazione mutò in “Nobilis Planae Graecorum Albanensium Civitas“, con l’inserimento nella denominazione di quel “Graecorum” che indica il rito bizantino professato della popolazione. Con il passare del tempo il nome venne semplificato in “Piana dei Greci”.

Il centro abitato si sviluppò su più quartieri, seguendo la morfologia montuosa del territorio. Furono subito costruite le prime chiese (San Giorgio Megalomartire nel 1493 e San Demetrio Megalomartire nel 1498) e delle infrastrutture (il fondaco, la macelleria, l’ospedale, il carcere, l’edificio comunale, i mulini), mentre i coloni avviavano le prime attività agricole e stringevano solidi rapporti commerciali con le vicine comunità.

Alcuni importantissimi articoli dei Capitoli prevedevano la facoltà per gli albanesi di eleggere i loro Ufficiali e dava loro l’autonoma amministrazione della giustizia, fatte salve le prerogative spettanti alla Mensa Arcivescovile. Queste facoltà consentivano ai profughi di difendere le loro tradizioni e, soprattutto, il rito bizantino.

Sempre per effetto dei Capitoli, a Piana dei Greci la minoranza latina era esclusa dalle cariche pubbliche ed era costretta ai margini del potere locale. Soltanto l’abolizione dei privilegi feudali del 1812, avrebbe consentito anche ai latini di accedere alla gestione del potere amministrativo, anche se fin dal 1590 avevano già ottenuto di professare il proprio rito nella chiesa di San Vito, costruita dagli albanesi.

Non si ha notizia di quanti profughi complessivamente fossero giunti in Sicilia; il primo censimento risale al 1548: in quell’occasione gli abitanti di Piana dei Greci furono calcolati in 306 fuochi corrispondenti a 2.699 unità.

Nel 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini, Piana degli Albanesi ospitò questi ultimi; quindi molti albanesi si unirono a loro nelle campagne militari contro i Borboni partecipando attivamente all’insurrezione di Palermo.

Il 26 ottobre 1937, con la Bolla “Apostolica Sedes” il Papa Pio XI istituì l’Eparchia di Piana dei Greci per tutti i fedeli di rito bizantino della Sicilia, riconosciuta poi anche civilmente dallo Stato italiano il 2 maggio 1939. Piana dei Greci diveniva così sede di Diocesi e la sua chiesa di San Demetrio era elevata alla dignità di Cattedrale.

Nel 1941, volendo evidenziare l’origine albanese del paese, con un regio decreto del 20 agosto il nome di “Piana dei Greci” venne modificato definitivamente in “Piana degli Albanesi”.

Il primo maggio 1947, a Portella della Ginestra, una località montana del comune di Piana degli Albanesi, il bandito Salvatore Giuliano sparò contro i contadini inermi che celebravano la consueta festa del lavoro. Fu la prima strage di mafia dell’Italia repubblicana.

Nel corso del tempo gli abitanti di Piana degli Albanesi hanno mantenuto inalterata la propria originaria identità etnica, linguistica e religiosa, conservando le proprie radici culturali quali la lingua, il rito bizantino, i caratteristici costumi femminili riccamente ricamati, gli usi e le tradizioni.

Oggi i cognomi di origine albanese più diffusi sono: Ales, Barbato, Borgia, Calagna, Camarda, Carbone, Cassarà, Clesceri, Ciulla, Cuccia, Cusimano, Damiani, Dorangricchia, Ferrara, Filpi, Fusco, Garofalo, Gazzetta, Mandalà, Marino, Matranga, Musacchia, Norcia, Petta, Plescia, Puglia, Schirò, Spata, Stassi, Zuccaro.

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