Gioia del Colle, situato sull’altopiano delle Murge, è un comune della città metropolitana di Bari.

La storia del paese risale al VII secolo a.C., quando sulla collina di Monte Sannace si stabilì un insediamento di Peuceti. Successivamente, durante le guerre puniche, l’insediamento venne distrutto.

Verso il VII secolo d.C. sorsero nella zona alcune chiese, intorno alle quali si stabilirono piccoli insediamenti di pastori. Alla metà del IX secolo la popolazione, a scopo difensivo, decise di insediarsi lontano dalle vie di comunicazione, costituendo il primo nucleo dell’attuale abitato, con una prima fortificazione.

Alla fine dell’XI secolo, con l’avvento dei Normanni, Riccardo d’Altavilla, Conte di Gioia del Colle, fece erigere il castello e la chiesa madre. La chiesa venne poi donata, sempre da Riccardo, alla Chiesa di San Nicola di Bari nel 1108, assieme ad una cospicua quantità di terre, seguita poi dal castello nel 1111 con gli abitanti e le terre circostanti.

Nel 1158 la città di Gioia del Colle fu rasa al suolo per aver partecipato ad una rivolta contro il Re di Sicilia Guglielmo I d’Altavilla in favore dell’impero bizantino. L’abitato rinacque quando Federico II di Svevia, succeduto alla dinastia normanna degli Altavilla, rifondò il castello nel 1230.


la chiesa matrice di Santa Maria Maggiore

Nel 1266, con l’avvento degli Angioini, Gioia del Colle entrò a far parte del Principato di Taranto. In questo periodo fu realizzato l’ospedale e la contigua chiesa di San Francesco. Nel 1442, dopo la conquista del Regno di Napoli da parte di Alfonso V d’Aragona, il territorio di Gioia del Colle venne concesso alla famiglia degli Acquaviva d’Aragona, Duchi di Atri. Dopo l’avvento dei Borboni, il feudo passò al marchese Pinelli, poi al principe De Mari, con il quale iniziò il dominio della famiglia De Mari che durò fino al 1806, anno in cui venne abolito ogni diritto feudale.

Fame, miseria, peste e terremoti ridussero il numero della popolazione che tra il XVI e il XVIII secolo non raggiungeva le duemila unità. Quando fu proclamata la Repubblica napoletana, i cittadini di Gioia del Colle si schierarono contro gli insorti liberali e si unirono alle truppe del cardinale Fabrizio Ruffo, saccheggiando i paesi e le terre vicine. Poi, con l’annessione al Regno d’Italia nel 1861, anche a Gioia del Colle si ebbe il fenomeno del brigantaggio finalizzato alla restaurazione della dinastia borbonica, finché nel 1863 i briganti furono definitivamente sgominati.

Il castello Normanno Svevo

Il castello fu edificato nel XII secolo dal normanno Riccardo d’Altavilla e ricostruito da Federico II di Svevia, assumendo le forme che oggi è possibile notare. All’esterno si possono ammirare le due torri superstiti delle quattro originarie, oltre agli ingressi sud ed ovest. All’interno, a piano terra, varcato l’androne ovest si entra nella vasta corte, dove si affacciano la sala del forno con accesso alla prigione dell’Imperatrice.


il cortile del castello

Qui Federico II avrebbe rinchiuso sua moglie Bianca Lancia accusandola di tradimento e qui la donna avrebbe partorito Manfredi, per poi morire. Si accede alle sale del piano superiore tramite un elegante scalone: varcato l’arco trionfale si entra nella sala del Trono, caratterizzata da elementi decorativi arabi e dal motivo dei falchetti affrontati. Si possono quindi visitare la sala del Caminetto, la sala rinascimentale e la sala del Gineceo.

L’insediamento degli schiavoni, albanesi e greci e la chiesa di San Michele Arcangelo

Verso la fine del secolo XV giunse a Gioia del Colle un contingente di stradioti condotti dal "Scavonus" Braia Bielopaulić (ital. Bartolomeo Paoli), per offrire il proprio aiuto agli Aragonesi. Molti di quei stradioti (sclavoni, albanesi e greci), al termine delle operazioni militari, non rientrarono nella loro terra, ma rimasero a Gioia del Colle e fissarono la propria dimora nella zona che va dalla parte est del castello a quella nord della Chiesa Matrice, rione che da loro prese il nome di “Borgo degli Albanesi”.

Poichè erano cristiani di rito greco-ortodosso, per praticare il loro culto pensarono di ampliare, restaurare ed abbellire l’antica Chiesa di San Giovanni, (così come era localmente definita), dove poterono officiare secondo il loro rito. Dalle due epigrafi poste sulla facciata esterna della Chiesa, si intuisce che la nuova chiesa ebbe una Cappella dedicata a San Giovanni Battista e un’altra a San Michele Arcangelo.


Piazza Livia con la chiesa di San Michele Arcangelo

Abolito il rito greco, la chiesa venne riconsacrata dall’Arcivescovo di Bari e dedicata a Santa Maria di Costantinopoli. Nel 1854 un terribile terremoto provocò gravi danni alla Chiesa e in seguito essa venne completamente rifatta e intitolata a San Michele Arcangelo. All’interno è possibile ammirare i bellissimi dipinti ad olio su tela raffiguranti la Madonna di Costantinopoli e San Michele Arcangelo.

Oggi della presenza degli Albanesi non vi è più traccia, tranne la strada dove si trova la chiesa che è intitolata “Strada Maggiore degli Albanesi”; a Bartolomeo Paoli è intitolata un’altra strada di Gioia del Colle, mentre a sua moglie Livia è intitolata la Piazza su cui si affaccia la chiesa.

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