San Marzano di San Giuseppe (in lingua arbëreshe: Shën Marcani) è un comune della provincia di Taranto e, insieme a Casalvecchio di Puglia (in lingua arbëreshe: Kazallveqi) e Chieuti in lingua arbëreshe: Qefti), fa parte dei paesi arbëreshë della regione Puglia che sono tutelati dalla legge nazionale nº 482 del 1999 sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche.

Le prime forme di presenza umana risalgono al V millennio a. C.; ciò è confermato da numerosi reperti ritrovato nelle contrade “Grotte” e “Neviera" oltre che nell’area intorno alla “Masseria Casa Rossa”. A circa due chilometri da San Marzano, lungo la Strada Provinciale che porta a Grottaglie, sono stati scoperti i resti di un muro monumentale, chiari indizi di un insediamento fortificato risalente probabilmente al V sec. a. C.. Sempre nell’area intorno alla “Masseria Casa Rossa” sono stati ritrovati dei resti di un insediamento (Pagus) risalente al periodo della dominazione romana (VIII secolo a. C. - VII secolo d. C.).


la “Masseria Casa Rossa” con il tipico comignolo arbëresh

È noto che nel Medioevo l’area di San Marzano di San Giuseppe era abitata; ma non vi era un insediamento concentrato in un unico posto, infatti, a causa delle continue incursioni dei saraceni che durarono dal secolo VIII secolo fino all’anno 1000 circa, la gente viveva nelle grotte sparse nelle vicinanze o si spostava nell’entroterra, dove poteva vivere con più tranquillità.

Nei secoli successivi e sino al 1300 non c’è quasi nessuna informazione sulla zona. Nel 1304 il proprietario del “Tenimentum Sancti Marzani” era Egidio de Fallosa, menzionato in un documento della cancelleria angioina perché sollecitato a pagare le decime al clero di Oria. Nel 1329, il casale venne infeudato a Giovanni Nicola De Tremblaio; mentre da un documento degli archivi di Napoli del 1378, si evince che il feudatario del “Tenimentum Sancti Marzani” era Guglielmo de Vicecomite.

Più tardi, il casale entrò a fare parte del Principato di Taranto e si trovava ai confini del Principato. Poiché era abbandonato, il Principe Giovanni Antonio Orsini del Balzo lo diede in feudo a Ruggero di Taurisano, affinché lo ripopolasse. Ma il casale rimase ancora spopolato quando passò a Delizia, figlia ed erede di Ruggero di Taurisano, la quale andò in sposa a Roberto da Monterone e, il 31 gennaio 1461, donò il casale a suo figlio Raffaele da Monterone. Solo Roberto, figlio di Raffaele da Monterone, si prese cura del ripopolamento del casale, fino a che, per le tristi condizioni del tempo in cui viveva, si trovò impigliato nella congiura dei baroni locali (1459-1462), attizzato dagli Angiò francesi contro il Re spagnolo di Napoli, Ferdinando I, per cui fu accusato di fellonia e il feudo gli venne tolto. Nel 1465, il feudo, insieme al Principato di Taranto fu inglobato nel Regno di Napoli, da parte di Giovanna d'Aragona, vedova di Ferdinando I ed erede del Principato e parzialmente assegnato in piccoli feudi a famiglie di provata fede aragonese.


il tipico comignolo arbëresh

All'inizio del '500, il feudo del “Tenimentum Sancti Marzani” apparteneva a Stefano di Mayra di Nardò, Signore del casale di Sava che, nel 1504, vendette il feudo disabitato a Francesco Antoglietta, 8º barone di Fragagnano. Alcuni documenti dell’epoca ci dimostrano che, intorno al 1508, nella parte bassa di San Marzano vi abitavano alcune famiglie corfiote ed epirote che si erano trasferite dal vicino villaggio di Fragagnano  a causa della incompatibilità con la popolazione autoctona.

Con disposizione del 24 aprile 1530, il re di Napoli, Carlo IV, incaricò il viceré di Napoli, Filiberto de Chalôns di mettere all'asta i beni appartenenti al regio demanio e quei feudi devoluti alla corona, per raggiungere la somma di 40.000 ducati d'oro. A sua volta, il principe de Chalôns delegò per tale operazione il luogotenente Pompeo Colonna, futuro viceré. Con dispaccio personale del 1º maggio di quell'anno dispose la delega al Colonna di vendere città, terre, luoghi, castelli ecc. Si avviò una serie di negoziati che videro interessato anche il feudo di San Marzano in Terra d'Otranto, situato tra il confine della città di Taranto e quella della città di Oria, per il quale fece richiesta di acquisto il fedele "caballero de armadura ligera" Demetrio Capuzzimati (il cui cognome è stato italianizzato, in quanto letteralmente in lingua albanese significa “scarpa grande”) che lo ebbe per 700 ducati insieme al titolo di barone con atto di compravendita, datata 27 luglio 1530. All'inizio del '500, i Capuzzimati vivevano a San Pietro Vernotico e a Squinzano nel Salento.

Demetrio Capuzzimati  († 17 febbraio 1557 a San Marzano di San Giuseppe) era figlio o fratello di Giorgio Capozimadi di Nauplia († Marzo 1536) che militava nella compagnia di Mercurio Bua come "lancia spezzata".

La compravendita venne confermata il 5 febbraio del 1536 con regio assenso di Carlo V affinché “possit rehabitare de hominibus et incolis ibidem habitare volentibus de exteris lamen et non regnicolis hec numeratis in ulla numeratione” [affinché possa riabitare con gente del posto e con gente non regnicola e non registrata in alcuna numerazione fiscale] con il privilegio d’esenzione fiscale per dieci anni. Nello stesso anno, l’8 novembre, il Capuzzimati acquisì in enfiteusi dal clero di Taranto anche l’adiacente feudo “deli Rizzi”. La fusione dei due feudi creò l’attuale San Marzano.

Pertanto, durante il dominio del Capuzzimati, il territorio si popolò di numerose famiglie epirote che, oltre alla lingua di origine, portarono gli usi, costumi e la propria fede orientale. 


il palazzo feudale fatto costruire da Demetrio Capuzzimati

Le famiglie concorsero a riedificare il casale con abitazioni in pietra (sono ancora visibili alcune abitazioni risalenti a quell’età nel centro storico del paese con i loro comignoli di fattura albanese) e a riportare alla coltura diverse zone dei due feudi, mentre Demetrio Capuzzimati iniziò immediatamente la costruzione del palazzo feudale al confine dei due feudi. Inoltre, in prossimità della odierna chiesa dedicata a San Carlo Borromeo, venne costruita la chiesa dedicata a Santa Parasceva (detta anche di Roma), dove si praticava il rito bizantino.

Dopo la morte di Demetrio Capuzzimati nel febbraio del 1557, il feudo conobbe un sensibile decadimento amministrativo ed una flessione economica legati decisamente alla inettitudine dei successori. A Demetrio successe suo figlio Cesare e il suo successore, nel 1595, fu suo figlio Demetrio. Quest’ultimo, essendosi indebitato per 3.000 ducati col Regio Erario, venne espropriato del feudo dalla Regia Camera della Sommaria.

Il 4 maggio del 1578 Pietro Brancaccio, Arcivescovo di Taranto, fece visita alla chiesa parrocchiale era intitolata a Santa Parasceva, e retta dal Papas Demetrio Gabascio, che era stato ordinato da un metropolita di passaggio, ed era molto attaccato al rito bizantino.


la chiesa dedicata a San Carlo Borromeo

L’Arcivescovo esortò il popolo ad abbandonare il rito bizantino ed a seguire il latino, ma inutilmente. Persuaso che ciò dipendesse dai sacerdoti, esortò i giovani chierici a frequentare il seminario di Taranto dove sarebbero stati accolti gratuitamente. Di San Marzano se ne presentarono solamente due che, dopo poco tempo, se ne tornarono a casa. Successivamente, malgrado i tentativi di altri Prelati, il rito bizantino si conservò ancora per molti anni, e solo nel 1617 i fedeli chiesero al nuovo Arcivescovo di Taranto, Bonifacio Caetani di ordinare un chierico di San Marzano secondo il rito latino, perché un Papas da solo non era sufficiente a prendersi la cura pastorale della comunità. La fine del rito bizantino ebbe inizio a San Marzano e nelle comunità arbëreshe circostanti con il decreto di soppressione da parte dell’Arcivescovo Antonio d’Aquino nel 1622.

Nel 1639 la Regia Camera della Sommaria vendete il feudo di San Marzano per 20.000 ducati al Duca di Taurisano, Francesco Lopez y Royo, di provenienza spagnola, che ottenne nell’aprile 1645, il titolo di Marchese trasmissibile ai futuri possessori.

La famiglia Lopez y Royo detenne il feudo sino al 1699, quando il feudo passò a Elena Branai (Granai) Castriota, discendente della linea diretta di Vrana Konti e moglie di Giuseppe Lopez y Royo. Quando Elena morì il 29 novembre del 1709, per volontà testamentaria della stessa, il feudo andò al pronipote Giorgio Branai (Granai) Castriota (* 25 nov 1708; figlio di Carlo, nipote di Elena in quanto figlio del fratello Domenico). Quando quest'ultimo morì senza eredi il 4 luglio del 1726, il feudo andò a Giovanna Branai (Granai) Castriota, una zia, sorella del padre Carlo. Nel 1744 Giovanna Branai (Granai) Castriota donò il feudo a sua figlia Elena Sparano, andata in sposa a Vincenzo Ugone Galluccio (anche: Gallucci o Galluzzi) di Galatina, duca di Tora.

Nel 1755, il feudo fu acquistato da Giuseppe Pasquale Capece Castriota, Barone di Maglie. La sua famiglia detenne il Marchesato di San Marzano sino al 1791, quando Filippo Bonelli reclamò il feudo, in quanto discendente ed erede dei Branai (Granai) Castriota. Solo il 14 aprile 1806, suo figlio Pasquale Bonelli ebbe il titolo di Marchese di San Marzano, nello stesso anno sopraggiunsero le leggi eversive dei feudi.


sfilata in costume arbëresh durante la festa di San Giuseppe

Il titolo di di Marchese di San Marzano rimase alla famiglia Bonelli sino al 1929, quando 1929 Raffaele Bonelli vendette al commendatore Angelo Casalini della Terra di Francavilla il Palazzo marchesale e i beni posseduti nel feudo di San Marzano. I discendenti di Angelo Casalini ancora oggi sono in possesso del palazzo marchesale.

Essendo stato San Marzano di San Giuseppe quasi sempre di proprietà di famiglie albanesi, queste hanno sempre cercato di preservare gli usi e le tradizioni dei loro antenati, oltre alla lingua albanese pre-ottomana (Gluha Arbëreshe), mentre nei paesi circostanti, che un tempo costituivano l’Albania Tarantina, se n’è perduta del tutto o quasi ogni traccia.

I cognomi di origine albanese di San Marzano di San Giuseppe sono: Airò (trasferitoso a Manduria nella seconda metâ del XVI secolo), Amodei, Arvito, Bianco (Bianchi; (trasferitoso a Manduria nel XVII secolo), Bisci, Borsci (probabile provenenza da Borsh in Albania), Bucci, Blasio (Blasi), Burdicchio (trasferitosi o estinto), Buzzerio (trasferitosi o estinto), Barbuzzi, Basso (trasferitosi o estinto), Barraccino (trasferitosi o estinto), Buccalieri, Calagna (Calagni; trasferitoso a Manduria nella seconda metâ del XVI secolo), Capuzzimati, Castriota (trasferitosi o estinto), Gabriello (trasferitosi o estinto), Chiurlo (Ciurlo), Chiurlia, Caloiro (Chiloiro), Calò, Capocelli (trasferitosi o estinto), Dimitri, Di Maggio, Durante, Danni (trasferitosi o estinto), Friolo, Franco, Frusi, Ferri (trasferitosi o estinto), Gravile (Gavrilis, Gravili, Gavril in greco-albanese; trasferitosi o estinto), Greco, Iuvato (trasferitosi o estinto), Lopez (Lopes, Lops; Lopez pugliesi e di Lops è più probabile una derivazione da soprannomi originati dal termine albanese lopë (vacca), Liuzzi, Leo, Macripò, Margarita (Margherita), Mascia, Malagnino (Magagnino), Massareca (trasferitoso a Manduria nella seconda metâ del XVI secolo), Matesi (trasferitosi o estinto), Micelli, Miccoli, Musci, Musciacchio (trasferitosi; discendente Muzaka), Papari, Papadà (trasferitosi o estinto), Papasi (trasferitosi o estinto), Pichierri (provenienza Piqeras in Albania; (trasferitosi) Pizzarro (Bizzarro), Preite (Prete), Rivezzi (trasferitosi o estinto), Rochira, Scarofoglia (trasferitosi o estinto), Tatisi (trasferitosi o estinto), Todaro, Talò, Vampo (trasferitosi o estinto), Zancarella, Zaccaria, Zaccheo.

Bibliografia

Zëri i Arbëreshvet - (La Voce degli Italo-Albanesi), n. 11 – Anno VII, 1978

Benedetto Fontana, Le famiglie di Manduria dal XV secolo al 1930, Regione Puglia, Manduria, 2005

Scipione Ammirato, Della famiglia dell'Antoglietta di Taranto, Meledugno, Georgio Marescotti, 1597

Luigi Carducci, Storia del Salento: la terra d'Otranto dalle origini ai primi del Cinquecento: società, religione, economia, cultura, Galatina, Congedo, 1993

F. Antonio Primaldo Coco, Casali Albanesi nel Tarentino, Grottaferrata, Scuola Tipografica Italo-Orientale "S. Nilo", 1921

Pietro Dalena, Insediamenti albanesi nel territorio di Taranto (Secc. 15-16): realtà storica e mito storiografico, in: Miscellanea di Studi Storici-Università della Calabria, Centro editoriale librario Università della Calabria, 1989

Carmine De Padova, San Marzano di San Giuseppe. Storia, tradizioni, folklore dell’unico paese albanese di Puglia, Castrovillari, Il Coscile, 1998

Giuseppe Gallo, San Marzano: una comunita albanofona in decadenza: un patrimonio da salvare, Lecce, Adriatica Editrice Salentina, 1997

Marisa Margherita, San Marzano di San Giuseppe, comunità Arbëresh

Ultimo Aggiornamento: