Rendered Image


Marcedusa (arb.: Marçëdhuza) è un comune di 400 abitanti (al 31 agosto 2020) della provincia di Catanzaro in Calabria. Il paese confina con i comuni di Belcastro e Petronà in provincia di Catanzaro e con il comune di Mesoraca in provincia di Crotone. Marcedusa, che si sviluppa su una collina argillosa a 288 m s.l.m, è circondato dalle valli dei fiumi di Tacina e Crocchio. Questa particolare posizione dà al centro abitato la fisionomia di un’isola.

La storia di Marcedusa

Anche se alcuni ritrovamenti archeologici fanno risalire le origini di Marcedusa ai tempi della Magna Grecia, i primi documenti che parlano di Marcedusa risalgono all’età sveva; infatti nel maggio del 1225 Federico II di Svevia concesse all’Abbazia di Sant’Angelo de Frigillo la facoltà di raccogliere il sale affiorante dalla salina del fiume Neto e da “Merchedusi” (ut libere sumant sale de salenis nostris Neti et Merchedusi absque alicuius contradicione).

Successivamente il territorio divenne proprietà dei Conti Ruffo di Catanzaro. Nel 1434, alla morte di conte Nicola Ruffo, 4° Conte di Catanzaro e 1° marchese di Crotone, il feudo passò alla figlia Giovannella, che fu assassinata nel 1435, cosi che il feudo passò alla sorellastra Enrichetta.

Nel primo semestre del 1439 Enrichetta Ruffo, sposò il viceré di Calabria, Antonio Centelles, il quale, per matrimonio, acquisì la Contea di Catanzaro, il Marchesato di Crotone e tutte le Signorie dei Ruffo di Calabria.

Ma Antonio Centelles aveva sposato Enrichetta Ruffo contro la volontà del Re Alfonso d’Aragona, il quale ritenne il matrinonio come un atto di ribellione del Centelles stesso. Così che Alfonso d’Aragona scese con il suo esercito in Calabria e, guadato il Neto nel novembre del 1444, giunse a Crotone e pose l’assedio alla città e agli abitati vicini. Sconfitto il Centelles, tutte le sue terre, compreso il feudo di Marcedusa, furono confiscate e incamerata al demanio regio.

Nel 1483 il Re Ferdinando, “per sopperire alle spese necessarie per la difesa del Regno”, vendette per 6.000 ducati il feudo di Marcedusa a Paolo Caivano, capo squadra delle genti d’arme. Nel novembre del 1497 Andreana, unica figlia ed erede di Paolo Caivano, sposò Andrea Caracciolo, portandogli in dote tutti i feudi ereditati dal padre, compreso quello di Marcedusa.

Nel 1527,  Andrea Caracciolo, sua moglie Andreana e suo figlio Paolo furono uccisi dagli abitanti di Mesoraca che si erano sollevati contro il loro padrone ed avevano assaltato il castello. Dalla strage si salvarono solo Isabella e Porzia, figlie di Paolo Caivano.

La tredicenne Isabella Caracciolo venne data in sposa a Ferdinando Spinelli, 2° Duca di Castrovillari. E fu proprio Ferdinando Spinelli che fece ripopolare con profughi albanesi il casale di Belvedere, Montespinello e quello di Marcedusa.

Nel 1541 a Marcedusa vennero contati 17 fuochi albanesi e nel 1557 risultano sette fuochi latini e 28 fuochi albanesi. Nel sinodo del 1564 troviamo che il casale di Marcedusa, abitato da genti di rito greco-bizantino, era in fase di spopolamento ma, l’anno successivo il casale fu tassato per sette fuochi.

Nel 1584, dopo varie vicissitudini, la baronia di Mesoraca con i casali di Arietta, Mercedusa e Petronà venne messa in vendita dal Sacro Regio Consiglio su istanza dei creditori del marchese di Mesuraca. Acquirente della baronia fu Roberto Altemps, 1° Duca di Gallese.

Verso la fine del Cinquecento, a causa della repressione religiosa, gli abitanti del casale di Marcedusa furono costretti ad abbandonare il rito greco-bizantino per quello latino; ciò è testimoniato anche da una relazione di Fausto Caffarelli, arcivescovo di Santa Severina che, in una relazione del 1625, afferma che: "in passato vi erano due luoghi abitati da greci, che seguivano il rito greco-bizantino con preti greci, ma ormai essi erano già passati al rito latino".

Nel 1638 Marcedusa subì i danni del terremoto. A quel tempo a Marcedusa viveva gente povera, adetta al lavoro dei campi, che abitava nei “pagliari”. Così il chierico Paulo Cozza descriveva gli abitanti di Marcedusa: “dice havere uno pagliaro dove habita et una bestia sumarina”.

Il 6 maggio 1649, sotto Giovanni Pietro Altemps, Marcedusa conseguì il titolo di “Universitas” ottenendo una certa autonomia amministrativa rispetto alla vicina terra di Mesoraca.

Nel 1669 Marcedusa fu tassata per 38 fuochi, mentre nel 1732 ne furono censiti ben 66. Comunque per tutto il Settecento il casale mantenne una popolazione di circa 500 abitanti (459 abitanti nel 1725; 517 nel 1744; 450 nel 1765; 545 nel 1783; 511 nel 1852) i quali, pur non seguendo più il rito greco-bizantino, mantenevano ancora la lingua ed i costumi del loro paese d’origine.

Gli Altemps tennero il feudo fino all’abolizione del feudalesimo (1806). Nel 1809 Marcedusa ottenne la definitiva autonomia amministrativa e fu istituita l’anagrafe civile.

Nel 1931 l’Enciclopedia Treccani alla voce Marcedusa tra le altre cose riportava: “la comunità albanese si andò spegnendo nel corso del XVIII secolo a causa della malaria, l’attuale popolazione è in maggior parte originaria dei paesi vicini”. In effetti oggi a Marcedusa, dove non si pratica più il rito bizantino perché fu soppresso intorno al 1598, la lingua dei padri è prossima all’estinzione, essendo parlata solamente da qualche anziano del paese.

Da visitare

La Chiesa di Sant’Andrea Apostolo

La chiesa, costruita nel XV secolo, fu distrutta dal terremoto ed in seguito ricostruita. La facciata della chiesa, molto semplice, è scandita da alte lesene con capitelli ionici che reggono il timpano. Il portale rettangolare è sormontato da una finestra. Sulla destra, il campanile a pianta quadrata con l’orologio.

 

L’interno è a una sola navata. Nelle pareti laterali si aprono una serie di nicchie che ospitano le statue. L’abside rettangolare è preceduta da un arco trionfale. Al centro si trova l’altare maggiore in marmo policromo sormontato da un tempietto che racchiude la statua della Madonna Assunta. Nella chiesa sono conservate nove statue tra le quali spiccano quelle seicentesche di Sant’Andrea Apostolo e della Madonna Immacolata.

Il Calvario

Il Calvario e un piccolo tempio in muratura, composto da tre edicole che racchiudono altrettanti quadretti bronzei su cui sono riprodotte scene della morte e passione di Cristo.

I palazzi di Marcedusa

Il Palazzo Barletta: la parte inferiore del palazzo, nella quale si apre il portale in pietra con arco a tutto sesto e piccolo decoro alla chiave di volta, è completamente intonacata. Il primo piano, invece, conserva le caratteristiche originarie con balconcini incorniciati da lesene che si inseriscono in una cornice aggettante.

Il Palazzo Greco: su due livelli, ha una copertura a coppi. Il portale con arco a tutto sesto è sormontato da un semplice balconcino con ringhiera in ferro battuto. Le finestre hanno il davanzale in pietra.

 

Il Palazzo Dardano: l’edificio conserva un bel portale in pietra chiara, con decoro alla chiave di volta, attraverso il quale si accede ad un atrio con arco che introduce a una scalinata in pietra. Sul retro del palazzo è, inoltre, visibile un ingresso secondario con portale in pietra formato da blocchi squadrati.

Il Palazzo Spada: il palazzo su due livelli è solo in parte intonacato. Il secondo piano, infatti, è in pietra a faccia vista. Il portale e le finestre sono dotati di archi a tutto sesto realizzati con mattoncini rossi.

Il Palazzo municipale: su un unico livello, ha più ingressi e graziose finestre ad arco con grate in ferro battuto. La copertura ha una doppia cornice a coppi. Sulla facciata del Municipio è stata collocata, nel 1925, una lapide di marmo con i nomi dei caduti della prima guerra mondiale.

Bibliografia

L. Codispoti, Marcedusa (cenni storico-archeologici), tipolitografia Sudgrafica, Davoli Marina (CZ)

A. Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1999

E. Pontieri, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli, F. Fiorentino, 1963

Ultimo Aggiornamento: