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Civita (in lingua arbëreshe: Çifti) è un comune della provincia di Cosenza in Calabria. Situato a 450 m s.l.m., all’interno della riserva naturale delle Gole del Raganello e nel cuore del Parco nazionale del Pollino, fa parte de “I borghi più belli d’Italia” e della “Bandiera Arancione” del Touring Club Italiano.

Diverse sono le ipotesi sull'origine del nome della città. Alcuni affermano che derivi dalla lingua albanese "çifti" (coppia), o anche da "qifti" (aquila), vista l'origine dei suoi abitanti, che provenivano dall'Albania, il paese delle aquile, oltre che dal rilievo e morfologia del territorio in cui sorge l'insediamento, nascosto tra le rocce come un "nido d'aquila". Ma c'è chi pensa che derivi dal latino "civitas" (città).

La storia di Civita

Il borgo di Civita, che oggi conta 859 abitanti, sembra essere sorto intorno all’anno 1000, ad opera della gente di Cassano all’Ionio in fuga dalle incursioni dei saraceni di Sicilia. Denominato “Castrum Sancti Salvatoris” in età medievale, nel 1456 fu distrutto da un violento sisma costringendo gli abitanti ad abbandonarlo; restava solo il rudere di una cappella dedicata al Santissimo Salvatore che si poteva vedere ancora nella prima metà del XIX secolo.

Il 26 marzo del 1463, Luca Sanseverino, 3° duca di San Marco, acquistò dal re di Napoli, Ferdinando I d'Aragona, per 20.000 ducati il feudo di Bisignano, divenendo il 1° principe di Bisignano. Il feudo comprendeva, tra l’altro, anche il territorio dove ora sorge il paese di Civita.

Nel 1470 Luca Sanseverino morì; gli subentrò suo figlio Girolamo, il quale svolse un ruolo molto importante nell'insediamento degli albanesi nelle sue terre, creando loro agevolazioni fiscali.

È molto difficile precisare quando gli albanesi giunsero a Civita; probabilmente i primo di loro giunsero tra il 1471 e il 1479, ma erano considerati solamente "avventori del paese" e non abitanti permanenti.

Nel 1485 il principe Girolamo Sanseverino, spinto da suo cugino Antonello Sanseverino, principe di Salerno, aderì ad una congiura contro Ferdinando I d’Aragona, Re di Napoli. Questa congiura si concluse nel 1487. Girolamo Sanseverino venne arrestato e i suoi beni confiscati, compreso il Casale di Civita incamerati nei possedimenti del Regno di Napoli.

Nello stesso anno (1487) troviamo il capitano di ventura “messer Giorgio greco” (o Giorgio Raglia,[1] conosciuto anche come Giorgio Paleologo Assan) Signore di Civita in qualità di “Signore munifico dai grandi meriti per aver svolto l’opera di pacificazione del regno”. Si presume che sia stato lui a condurre gli Albanesi a Civita. La tradizione ci tramanda che questi albanesi abbiano edificato i loro pagliari nell’attuale rione Magazzeno, dove sorgevano i ruderi di una cappella dedicata al Santissimo Salvatore.

Nel 1495 il Re Carlo VIII di Francia scese con le sue armate in Italia dando inizio alle cosiddette guerre d’Italia. Il 22 febbraio 1495 entrò a Napoli, approfittando della fuga di Ferdinando II, e si fece incoronare come Re di Napoli. Nel suo breve regno (dal 22 febbraio 1495 al 6 luglio 1495) ristabilì nei titoli Bernardino Sanseverino, figlio di Girolamo e 3º Principe di Bisignano. Con l’atto del 1° maggio del 1495 i Sanseverino tornavano ad essere proprietari anche del Casale di Civita. 

Durante l’esistenza di Bernardino Sanseverino, furono effettuati due censimenti, così che nel 1503 Civita venne censito per 19 pagliari e nel 1508 per 18 fuochi.

Nel 1516 Bernardino Sanseverino mori e gli successe il figlio Pietro Antonio; con lui continuò l’appoggio dei principi di Bisignano agli Arbëreshë. Nel 1539 Pietro Antonio Sanseverino, 4º Principe di Bisignano, sposò Erina (o Irina) Castriota, pronipote di Scanderbeg e Duchessa di San Pietro in Galatina.

Nel 1543, Civita venne censito per 27 fuochi, nello stesso censimento vennero registrati i seguenti cognomi: Belluscia, Blunetto o Brunetto, Bua, Camideca, Costa, Draina, Ferraro, Greco, Gulè, Lanza, Manisi, Saxaro, Scellizia, Truppa.

Pietro Antonio Sanseverino morì nel 1559; a succedergli fu suo figlio, ancora minorenne, Niccolò Sanseverino. La carestia del '500 fu tanto devastante in Calabria, che Irene Castriota, tutrice del figlio Niccolò, il 23 luglio del 1561 decretò che venissero costituiti dei “magazzini universali”, contenenti almeno 1000 tomoli di grano. Dal censimento del 1566 a Civita risultano censiti 173 fuochi, mentre nel 1567 furonocensiti 148 fuochi.

Nel 1572 Niccolò Sanseverino, divenuto maggiorenne, vendette il feudo di Civita a Francesco Campolongo (anche Campilongo) di Altomonte.

Il 23 giugno del 1603 Dimitrio Michele Belluscio de Thodaro e Pietro de Martino, albanesi di Civita, acquistarono il casale di Civita per la somma di 4300 ducati.

Successivamente Civita continuò a vivere in una situazione di incertezza, passando da una mano all'altra: nel 1613 la troviamo in possesso di Tiberio d’Urso di Belvedere; il 20 marzo del 1624 il feudo di Civita venne acquistato da Luigi Sanseverino, 7° conte di Saponara e 7° Principe di Bisignano; infine, il 1° ottobre 1631, Civita venne acquistata da Giovanni Serra la cui famiglia ne restò in possesso fino al 1811.

Oggi a Civita è parlata ancora correntemente la lingua degli antenati, si conservano ancora le tradizioni dei padri e si osserva il rito bizantino. Il comune di Civita è stato tra i primi a istituire lo Sportello Linguistico Comunale (previsto dalla Legge 482/99) per la tutela e lo sviluppo del proprio patrimonio etno-linguistico. L’impronta orientale è evidente soprattutto nelle sue chiese, le quali appartengono alla circoscrizione della Chiesa cattolica italo-albanese dell’Eparchia di Lungro. I cognomi più diffusi sono: Brunetti, Filardi, Greco, Mortati, Palazzo, Placco, Rugiano, Stamati, Vincenti, Zuccaro.

Bibliografia

Archivio storico per la Calabria e la Lucania - Volume 31, Roma, 1962.

Cassiano, Domenico, Note per una storia delle popolazioni albanesi nel feudo di San Adriano in: Zëri i Arbëreshvet, n 14, anno X, 1981.

Contarini, Luigi, Il vago, & diletteuole giardino ove si leggono gli infelici fini di molti huomini illustri…., Venezia, 1619.

Emanuele, Demetrio, Itinerari Arbëreshë, Katundy Ynë, C. Biondi, Cosenza, 1980.

Petta, Paolo, Despoti d'Epiro e principi di Macedonia - Esuli albanesi nell'Italia del Rinascimento, Argo, 2000, ISBN 88-8234-028-7.

Zangari, Domenico, Le colonie italo albanesi di Calabria - Storia e demografia, Caselli, Napoli, 1941.

[1] Il padre di Giorgio Raglia sarebbe vissuto a Galatina in Puglia nel 1463. Al condottiero Giorgio appartenevano anche Belvedere (oggi Belvedere di Spinello) e Malapezza dal 1471 al 1477. La terra di Belvedere e il feudo di Malapezza la avrebbe avuta ai tempi di Ferdinando I d’Aragona (re di Napoli dal 1458 al 1494). Giorgio Raglia era sposato con Anna Ralena (o Raglia o Ralli o Rales). Dal Raglia sembrerebbe passato il feudo al “vir magnificus” Tommaso Paleologo Assan (probabile fratello di Giorgio).

Il figlio di Giorgio Raglia, Raimondo Asan (anche Assa Greco), avendo tentato pubblicamente, in presenza di re Ferdinando “di vendicar l’ingiuria fatta alla sorella”, con due (altra fonte tre) pugnalate, Berardino Sanseverino, principe di Bisignano e suo patrono, fu preso come ribelle e giustiziato.

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